Avevo bisogno di una finestra sul mare, di due ante che si aprissero verso i miei desideri.
Non si scrive soltanto quando si è tristi, ma lo si fa anche quando si ha tanto da dire. E questo “tanto da dire” è una marea che mi sconquassa dalla testa, al petto, allo stomaco. Non posso rimanere impassibile alle sue onde.
Dall’interno del mio microcosmo, allora ho bisogno di guardare fuori. Non è il caos della città a richiamare la mia attenzione, nè la quiete di una distesa di montagna. È il mare, è solo il mare che mentre sembra dormiente, in realtà si muove. Che mentre sembra annoiato, in realtà intrattiene infiniti discorsi con il cielo, con la terra e con tutti gli occhi che lo guardano.
Allora il mare è la mia cura, il mio riflesso, da sempre la mia casa. E quando lo guardo non ho più bisogno di dovermi perdere in parole e discorsi, perché lui assorbe tutto il fumo di questi tempi. E quando scrivo e ogni volta lo nomino, è perché anche il sol pensarci, mi calma.
Dopotutto è così che si fa con gli esseri che si amano, quando sono lontani. Ci lega solo il pensiero. Ed io negli anni mi sono allenata con il mare; e così, tutto quel non detto, è stato detto, e tutto quel fumo man mano si diradava.
Ed anche io, seppur distante, in un angolo dei miei pensieri, ho pur sempre continuato a sentirmi a casa.
Categoria: Pensiero e sentimento
Ritorno a Itaca
Ogni volta che ritorno a casa dopo un lungo periodo da inquilina in terra straniera, è una sensazione strana.
Non lo capisco. Non ci credo che le mie valigie non toccheranno, almeno per un po’, quelle terre appena scoperte, ma che solcheranno strade che conosco persino ad occhi chiusi.
Non ci credo nemmeno io, anche quando mi incammino verso l’aeroporto; quando supero i controlli. E mi chiedo: chissà dove sto andando, e chissà ancora per quanto.
Non ci credo neanche quando sto per salire sull’aereo, quando ripongo la valigia dentro la cappelliera e mi allaccio le cinture.
Non so nemmeno se aspettarmi un messaggio del capitano in francese o in chissà quale altra lingua. Eppure lui finalmente parla quell’idioma che per me è il più comprensibile tra tutti: il mio.
E dunque l’aereo si muove, comincia a correre e tutto vibra, dentro e fuori di me. Si alza in volo, plana e io vedo quella terra che ha finto di essere stata casa mia, rimpicciolirsi sempre più.
“Chissà dove sto andando” continua a chiedere il mio cervello vagabondo. Sto andando incontro al futuro, risponde quel lato filosofico che risiede da qualche parte tra il cuore e il cervello.
Finché dopo quasi due ore di pensieri, misti a foto, musica e sogni, guardo fuori e vedo che le nuvole e il cielo hanno lasciato il posto alla terra.
E poi la vedo, la mia isola; mia per tante e tante ragioni. E allora lo capisco, allora davvero mi risveglio: sono tornata a casa.
E Margherita?
La vita è un po’ come il libro Il Maestro e Margherita di Bulgakov. Sei curioso di capire finalmente chi è questa Margherita, ma devi aspettare e aspettare.
E così vale anche per i momenti di gioia: parti dal giorno uno, quando esprimi un desiderio, e dunque cominci ad attendere che esso si avveri. Ciononostante, quella gioia, un po’ come la nostra Margherita, sembra sfuggirci: riusciamo a intravederla sì, proprio a qualche giorno dall’inizio dell’attesa, ma giusto per un attimo fugace. Difatti, ella subito sparisce e così ritorna il silenzio più assoluto.
Finché, quando ormai ti sei pure quasi dimenticato dell’esistenza di quel sogno, o della stessa Margherita, la vita, proprio come Bulgakov, comincia ex abrupto il “Libro II”, il cui primo capitolo è intitolato per l’appunto “Margherita“. E tu, lettore, non te l’aspettavi mica che il narratore che lo guida e ci guida potesse essere così biricchino.
E allora sì che capisci che la copertina del libro che avevi tenuto in mano fino a quel momento non mentiva; che non era stata scambiata e messa sopra un altro libro. Adesso hai le conferme che inconsciamente cercavi e la tranquillità di non aver perso tempo sul libro sbagliato.
E come per il Maestro e Margherita, così anche, lo ripeto, la vita: che per un lasso di tempo lento e noioso ti è sembrata sbagliata, di colpo comincia ad avere senso.
Insomma, grazie Bulgakov per confondermi e farmi redimere, insieme.
Messaggio per i miei lettori:
scusate la mia lunga assenza, ma sto lavorando per il mio futuro. E in questo futuro vedo certamente ancora la scrittura, quindi a presto!
V.R.
Ri-Cominciare
Fruscio di venti lontani vengono a farmi visita, in questa sera di inizio ottobre. Mi mandano saluti provenienti da mondi remoti, al ritmo di finestre distanti che sbattono freneticamente.
Pareti spoglie, inabitate da anni. Una luce fioca e tremolante padroneggia sul tavolo vuoto nella stanza, mentre scrivo queste parole intrise di malinconia.
La valigia è ancora chiusa accanto a me; al suo interno, i vestiti sono custoditi insieme al calore della mia casa, di colpo, fin troppo distante.
Sono in Francia.
Già, l’ho rifatto un’altra volta.
Ho impacchettato i ricordi di anni; li ho presi con cura, uno a uno, sistemandoli stretti stretti in scatole troppo piccole, e che ho sballottato di città in città.
Fino ad arrivare qui.
Abbasso gli occhi sulla valigia azzurra, mia compagna fidata di mille viaggi. Soltanto per oggi, il suo nome è Pandora; chissà quali ricordi dolceamari possono scivolarvi via e colpirmi bruscamente, se solo la aprissi.
E dunque prendo un respiro profondo, mentre i lampioni nella strada davanti alla mia finestra tornano ad accendersi. L’aria di Marsiglia è frizzantina in questo periodo dell’anno, e questa è la mia prima scoperta.
E quindi, forza! Che si ritorna a essere viaggiatrice del mondo.
E così, coloro che non riescono a tollerare il distacco, imparano a richiudere gli occhi per poter vedere nitidi gli sguardi di chi li ama, anche da lontano. Allo stesso modo faccio io, che nel cuore trattengo con forza ogni istante, ogni sorriso e ogni gesto d’amore; tre alberelli rigogliosi che ho coltivato sin dall’ultimo mio arrivo in una terra che col tempo ha smesso d’essere straniera.
Allora, si ricomincia; e il ricominciare porta con sé nuove strade da imparare, nuovi nomi da memorizzare, nuove facce che forse un giorno saranno amiche, e un nuovo letto su cui dormire.
In questo modo, si riparte col vivere una vita che non mi apparteneva, ma che da domani lo farà.
Si riprende a distendere le labbra in un sorriso automatico, mentre la mente è rivolta ad altre terre. Ma il gioco sta proprio in questo: tenerla impegnata e aggrappata al presente. E per fare ciò, tenterò d’imparare questa lingua ancora sconosciuta proprio per non rischiare di cadere nel silenzio dei ricordi; ché soltanto così, uno dopo l’altro, passeranno i miei giorni.
E da qui riparte l’avventura, dopo anni di apatia.
E con ciò, rinascerà quella forza che sembrava essersi nascosta.
Perché da oggi ricomincia la mia vita, con un capitolo nuovo e inaspettato.
E io concludo questo scritto, sebbene un piede sia tuttora ancorato alla vecchia casa, mentre l’altro è già ben piantato sul domani.
Sei un Marinaio o Capitano?
Scritto in piena pandemia
È un po’ un incubo, se ci pensi: non poter andare dove vuoi, non essere libero di fare ciò che senti, non poter amare chi desideri.
Viviamo sottostando a regole invisibili, mentre siamo convinti di essere noi al timone.
E intanto siamo così piccoli, talmente piccoli che bastano degli eventi un poco più grandi di noi a farci barcollare. Allora, ci sentiamo in gabbia, ci comportiamo come se avessimo perso un equilibrio che, in realtà, non avevamo nemmeno prima.
Ah, sì, mi rivolgo a te: ti ricordi anche tu quel via vai di gente, treni in corsa, appuntamenti in ritardo che ti facevano ritornare a casa a un orario decisamente sbagliato per la cena?
Ricordi quando viaggiare era ormai così tanto scontato, che quasi non ti andava più?
Ci ripensi mai alla sensazione di vivere nel lato giusto del mondo e di essere fortunato per le cose -scontate- che avevi? Gli amici, le solite uscite, i soliti discorsi. Quanto avresti dato per rimanere a casa il sabato sera?
Eccolo, mio caro marinaio, il sogno è stato esaudito; la risposta inattesa, la pausa, la sosta ti aspettano nel tuo salotto di casa.
Ecco che sebbene non sia padrone del tuo destino, almeno puoi fingere di esserlo all’interno del tuo appartamento.
Ecco che quella libertà normale, scontata, superflua, adesso l’hai persa, non ce l’hai più.
Ecco che il “quando potevi farlo, non l’hai fatto” ti bussa alla porta.
E adesso, quasi quasi, ti manca il mare.
Ti sei fermato, marinaio, in questa vita che sembra tutt’un tratto fluttuare?
Ti sei perso? O sai perfettamente che quella è casa tua, che quello è il tuo posto?
Mentre la giostra si è bloccata, tu eri nel luogo giusto oppure no?
Quando la corsa si è arrestata, chi avevi accanto?
Eppure niente è definitivo, vecchio lupo di mare.
Come quell’amore che avevi per l’andare a cavalcioni sulle onde di velluto, di punto in bianco, ti è sparito.
Guarda questo periodo tanto strano e inatteso; figlio del tempo, non temere, anche ciò ha una scandenza.
La Fortuna corre ancora con i capelli al vento e la nuca scoperta; e quando lo farà nuovamente, tu, marinaio, avrai imparato come acciuffarla al suo passare?
Hai visto tanti tramonti e innumerevoli albe che non ti serviva più altro; volevi morire perché stanco dell’apatia, senza accorgerti che attorno ad essa, quella era vita.
Muoversi,
correre, navigare,
sempre andare.
E tu, in che porto ti sei fermato, marinaio? Dove ti ha condotto la nave su cui viaggiavi? Chi la guidava? Chi ha deciso di farti allontanare?
Tanto lo sai che a decidere in quale porto straniero gettare l’ancora, è sempre il conducente.
Dunque, ti sei chiesto chi è il capitano della tua nave? Chi è più il forte, tra di voi? Sei tu che comandi o è lui che decide per te, e tu obbedisci?
Eppure, sai: da dentro la tua casa, fin dentro il tuo ufficio, tu sei libero di volare con l’anima e ad occhi chiusi, planando ad ali spiegate su ogni aspetto della tua vita.
È questo il punto di svolta: adesso hai il tempo di fermarti; ora è tempo di avere il lusso di rivalutare e di rivalutarti.
Allora prendi carta e penna, e comincia a scegliere per te stesso.
Dove vuoi andare, marinaio, alla fine di questo blocco generale?
Dove vuoi che ti spinga il vento?
Vuoi essere marinaio o vuoi essere capitano?
Come non capisci che è proprio questo il momento per trasformarti in capitano.
E quindi, capitano: che piani hai per il tuo futuro?
Devi sempre avere una valigia pronta con te; devi essere tu quella valigia, pronto a ripartire quando la vita riprenderà il suo normale corso stravagante.
Perciò disegna una mappa, armati di pazienza e di conoscenza.
Tieni gli occhi bene aperti, sii lesto ad acchiappare la Fortuna.
Porta la Prudenza e l’Astuzia, che servono entrambe per cavalcare le onde.
Perché quelle onde ritorneranno, stanne certo, e allora tu sarai nuovamente pronto ad affrontarle.
Eh, Marinaio?
Eh, Capitano?
Adesso, chiudi gli occhi e dormi;
dormi e sogna benevoli mari in tempesta, che movimento non significa presagio di eventi malevoli; ma moto che ti spinge altrove, dove tu non sei ancora stato.
Che domani o forse il giorno dopo ancora,
sarà un altro anno
e, giusto in quel momento propizio, ricomincerà al tua vita.
Pensiero ondivago che continua a parlare d’amore
Desideravo solo ricordare che essere single non vuol dire essere soli.
E lo dico perché, per tanti anni, io stessa ho confuso le due cose. Tuttavia, in caso di necessità, non mi serve molto per spazzare via il dubbio: basta che ripenso a tutte quelle voci belle e familiari, di tutte le persone più care che, nonostante la distanza che ci divide da anni a periodi alterni, sono davvero sempre accanto a me.
Sfatiamo il mito che chi è single è infelice, perché non è vero. Certo, ci sono giorni in cui la malinconia è normale, siamo pur sempre umani. Personalmente, questo periodo mi ha spinto a conoscermi meglio e a dedicare quel tempo “libero”, e in più, a inseguire i miei desideri, a scoprire nuove passioni, a viaggiare, a perdermi, a ritrovarmi e sopratutto a coltivare le relazioni. Soltanto così, infatti, mi sono potuta avvicinare a certe persone, potendole ritenere parti fondamentali della mia vita, senza le quali io non sarei quella che sono. E senza le quali, allora probabilmente sì che mi sentirei un po’ più sola.
Sarei una persona diversa se ad oggi fossi sempre stata in una relazione sana, vero. Migliore o peggiore non posso dirlo, ma sarei semplicemente stata un’altra versione di me stessa. Ad ogni modo, finché non trovo qualcuno che apporti qualcosa in più, invece di togliere. Finché non trovo la persona che mi dia la sensazione di essere a “casa”, pur a chilometri di distanza dalla mia. Finché non trovo quel quid, quella ciliegina sulla torta che arricchisca e rassereni, senza invece complicarla, una vita che sto costruendo sperando di essere felice, allora preferisco, voglio e continuamente scelgo di essere single.
Chissà, probabilmente quando distribuivano l’amore e l’altezza, io ero in coda per l’essere tappa e per avere l’amicizia. Ma va bene così.Perché ad oggi, una cosa l’ho capita: l’amore e l’amicizia sono entrambe rare da trovare. Eppure, spesso, anche se l’amore viene e va, ci sono certe amicizie tanto speciali che, una volta trovate, quelle sí che restano tutta una vita.
Manifesto egoriferito
Mi piace vestirmi di bianco, con abiti lunghi, in ricordo di stili lontani. Agghindo il mio corpo con anelli, bracciali e orecchini, mentre la mente si impreziosisce di riflessioni e tanti libri, proprio come le donne hanno sempre fatto nel corso della storia. E con i capelli sciolti, spesso in balia del vento, continuo a richiamare in cuor mio quelle donne greche o egiziane, nell’attimo in cui si fermavano ad ammirare anch’esse il mare al tramonto.
Sono figlia di tante generazioni, di donne e di uomini di lingue diverse e passioni potenti.
Sono il frutto delle ere, delle età, dei pensieri, delle letture, delle melodie e delle terre che hanno calpestato.
Sono un granello di sabbia nella storia, al centro di altri granelli di sabbia che continueranno questa stirpe che perde le sue origini nel tempo.
Sono una Gradiva che avanza tra le rovine di Pompei; la fotografia in bianco e nero di una donna senza nome e con una storia dimenticata che ha bruciato le sue carni, toccando inconsapevolmente la psiche di chi l’ha succeduta.
E con queste riflessioni, mentre la gonna e la chioma continuano a ondeggiare al vento, fisso il mare dal terrazzo della mia casa.
Sono la figlia lontana di quella donna dal nome ormai perduto che si affacciava dal suo castello in attesa che il sole tramontasse dietro l’isolotto in balia dei flutti.
Sono il risultato delle scelte e dei destini di tutti coloro che mi hanno preceduta in un conto alla rovescia, in un viaggio a ritroso, tra le maree infinite del tempo.
Per i sognatori come noi
Noi,
ammiratori del sole che lascia il posto alla luna,
non smetteremo mai di sognare
nel guardare la scia rosa che ci regala il tramonto.
Ad ogni giorno che si fa notte,
ad ogni preoccupazione che lascia il posto alla speranza,
così impavidamente
e ancora eternamente.
Noi,
che siamo coraggiosi, scrittori, lettori, amanti, artisti, pensatori, romantici
non arresteremo mai la corsa travolgente dei nostri sogni;
quel che di indole ci basta per continuare a impreziosire la nostra anima antica.
Così impavidamente
e ancora eternamente.
Buona Estate
cari lettori
Anima Antica
Non è Penelope e nemmeno la figlia del vasaio Butade.
È la mia ombra allungata che ammira il tramonto dalla spiaggia.
È l’immagine della mia anima antica, colta nella sua eterna attesa,
mentre continua a fissare l’orizzonte in un punto infinito del mare.
È l’ombra di chi, nel mentre che aspetta,
non vede il mare come una barriera divisoria,
ma come un ponte da attraversare in qualunque modo
per raggiungerti.
Ondivaga
Sono a letto e fuori piove.
Ho terminato di leggere “Affinità Elettive”, e così Goethe mi ha dato la buonanotte un’ultima volta.
Ho ancora il piumino leggero; qui a Bologna il cielo è stato uggioso, anche se a tratti soleggiato.
Un tempo Ondivago direi.
Che bel termine “Ondivago”; da quando l’ho sentito, mi sono chiesta come fosse possibile amare una parola.
Ondivago è un’altalena, il movimento costante, un’oscillazione che sconvolge la retta.
Ondivago emana tinte blu mare, blu cielo, blu malinconia.
Ondivaga è l’onda che sbatte sullo scoglio della mia terra, è il giorno che si scambia a intermittenza con la notte.
E intanto i giorni passano insieme ai mesi.
E nel mentre che il fiume scorre, io rimango qui, nascosta tra queste coperte.
Il blu di cui ho bisogno, lo abbraccio guardando il cielo sopra di me e che fa da tetto alle ritrovate camminate; mentre ad accompagnarmi, ci stanno innumerevoli pensieri -anch’essi ondivaghi- che mi permettono ogni volta di volare verso altri luoghi.
Spengo la luce del mio comodino; la pioggia continua a cadere in questa città tanto a nord del mio sud.
Chiudo gli occhi e sento il mare.
Sono altrove.
Sono a casa.
Buonanotte,
fuori sede.