Avevo bisogno di una finestra sul mare, di due ante che si aprissero verso i miei desideri.
Non si scrive soltanto quando si è tristi, ma lo si fa anche quando si ha tanto da dire. E questo “tanto da dire” è una marea che mi sconquassa dalla testa, al petto, allo stomaco. Non posso rimanere impassibile alle sue onde.
Dall’interno del mio microcosmo, allora ho bisogno di guardare fuori. Non è il caos della città a richiamare la mia attenzione, nè la quiete di una distesa di montagna. È il mare, è solo il mare che mentre sembra dormiente, in realtà si muove. Che mentre sembra annoiato, in realtà intrattiene infiniti discorsi con il cielo, con la terra e con tutti gli occhi che lo guardano.
Allora il mare è la mia cura, il mio riflesso, da sempre la mia casa. E quando lo guardo non ho più bisogno di dovermi perdere in parole e discorsi, perché lui assorbe tutto il fumo di questi tempi. E quando scrivo e ogni volta lo nomino, è perché anche il sol pensarci, mi calma.
Dopotutto è così che si fa con gli esseri che si amano, quando sono lontani. Ci lega solo il pensiero. Ed io negli anni mi sono allenata con il mare; e così, tutto quel non detto, è stato detto, e tutto quel fumo man mano si diradava.
Ed anche io, seppur distante, in un angolo dei miei pensieri, ho pur sempre continuato a sentirmi a casa.