Poesia, Racconti & Poesie

Conversazioni secolari

Mi piace pensare che mi sei vicino
e che nel silenzio, dopotutto, noi ancora ci parliamo;
che se mi muovo di un passo oppure di un paese,
con la coda dell’occhio, tu rimani lì ad osservarmi cautamente.
Che se non mi vedi tornare, aspetti che io rientri a casa.
Che se non ti senti vicino al mio cuore, mi vieni a riprendere tra i pensieri.
Mi piace pensare che nel mezzo di tante strade,
persone,
impegni,
anni
e città,
tu abbia il tempo di chiederti come sto davvero;
di aprire la finestra della tua stanza per guardare fuori e,
chi lo sa,
sperare di vedermi passare, con i miei libri e le tante passioni.
Mi piace credere, sperare, immaginare,
sognare, creare, fantasticare
che mentre cammini a piedi nudi sulla spiaggia,
ti ricordi di me e delle mie conchiglie;
ti ricordi delle mille parole con in sottofondo le onde del mare
e poi le mie risate miste a qualche pianto.
Voglio credere che ogni volta che sentirai tra quelle strade il mio profumo,
che quel profumo possa ricondurti a me nonostante gli anni,
nonostante le persone,
gli impegni,
e tutti i discorsi,
compresi quelli non detti.
Mi piace pensarti con me, questa notte, che mi tieni per mano in questo nostro tipico silenzio che ci differenzia dal resto.
Mi piace pensarti con me, in quel letto, disteso al mio fianco, mentre continui a toccarmi delicatamente con i tuoi occhi.
Mi piace sentirti con me, adesso, prima che si faccia buio, che ascolti con il cuore le parole del mio canto.
Mi piace pensare che siamo qui ancora,
insieme nel mezzo di queste nostre lunghe e ininterrotte conversazioni secolari,
sospesi nel tempo,
sperando che il tempo non ci mostri mai la loro fine.

Racconti, Racconti & Poesie

A Manhattan

Incontriamoci sul grattacielo più alto di Manhattan.
Saremo più grandi, più stanchi, più matti, ma inconsapevolmente sicuri di ritrovarci.
Incontriamoci su quell’edificio, sulla cima della città,
facciamolo al tramonto in un giorno che non piove.
Ritroveremo i nostri sguardi per caso, così lontani da casa tra la musica e il vento.
In quel punto più alto, con il mondo ai nostri piedi e i bicchieri nelle mani, guarderemo giù senza paura, pronti a saltare in quel vuoto di colori e fuochi d’artificio.
Potremo affrontare insieme le luci e le ombre di un luogo sterminato e a noi sconosciuto.
Questa volta riusciremo a vivere
questa volta, lo prometto, riusciremo a viverci.
Ma il destino, si sa, ha dei piani che preferisce nascondere per mostrarci solo la meta;
la nostra si chiama Manhattan e noi neanche lo sappiamo mentre piego i vestiti e tu richiudi la porta di casa alle tue spalle.
Ma il destino, si sa, che ha regole non razionali,
e che per riavvicinarci ci ha fatto cambiare molti aerei,
allargare le distanze,
e dormire lontani nel tempo e nello spazio.
Eppure, arrivando così lontano, è proprio da qui che stiamo per riunirci:
dall’apice di questa Mela noi smetteremo finalmente di credere che le distanze ci facciano sentire al sicuro.
E adesso comincia il conto alla rovescia che ci avvicina e che accorcia le nostre strade.
Ed io ho chiuso la valigia
e percorro gli ultimi chilometri che mi separano da quell’aereo con destinazione America.
E intanto tu stai camminando a passo leggero fino al gate di una città sconosciuta:
guardi da fuori la vetrata il cielo azzurro e l’unica nuvola bianca ti richiama un pensiero, un profumo di donna che non sai definire e che prende forma nella tua testa come un déjà-vu.
Ti imbarchi,
mi imbarco.
Ti avvicini,
mi avvicino.
L’appuntamento con il destino accelera il suo passo e noi seguiamo il suo ritmo guardando fuori dall’oblò di due aerei diversi che come rette parallele si congiungono in un punto infinito, ma a nostra insaputa definito.
Incontriamoci sul grattacielo più alto di Manhattan,
ritroviamoci senza saperlo: occhi negli occhi, sorrisi nel cuore
e una volta riuniti in cima al mondo,
con nelle braccia le tue braccia sorprese che pulsano di felicità,
una volta che l’ironia del destino ha svelato le sue carte,
proprio da lassù,
noi non lasciamoci andare più.