Pensiero e sentimento

Scrittura automatica di fine inverno

Come una musica di un pianoforte che forma una scia di ghirigori e foglie nel suo viaggio tra i tetti fumanti delle case nell’inverno del nord.
E rapisce i miei pensieri, portandoli in sella verso una meta indefinita.
La malinconia non è altro che un metodo alternativo per conoscere il mondo.
La malinconia è e non è.
Presenza e assenza insieme.
Una musica che tocca lo spirito come fa una mano sul cuore ed ecco che l’anima sussulta e sorride.
L’amarezza non esiste, le note sono l’acqua che spegne il fuoco.
Il vento mi sospinge sempre più in là: più in là del mio letto, della mia stanza, della mia casa. E le città e tutte le luci di persone che corrono e si fermano e guardano il cielo.
Siamo fragili e forti: abbiamo ali e non le abbiamo. Abbiamo la capacità di trasformare la solitudine in un viaggio a cavalcioni di una scia di nuvole.
Ci riconosce solo chi sa volare.
Ci prende solo chi ha fermato la sua corsa, perchè arrivato alla meta.
E seppure la meta non ha ancora un nome, un volto o una definizione, ci consola solo il fatto che essa esiste e che io sto volando nel cielo pieno di stelle per raggiungerla, in attesa della sorpresa finale.
Questo viaggio si concluderà con un inizio. Supererò le strade ghiacciate e le notti gelide, supererò i campi congelati e le persone tristi.
Supererò la superficialità di attimi che fanno male; supererò il mio modo negativo di vedere che me li mostra neri.
Mi accosterò alla positività, mi terrò per mano, continuerò a guidarmi
e soltanto alla fine, soltanto all’ultimo passo,
all’ultimo colpo d’ali,
all’ultimo momento
finalmente  mi riposerò
nell’unico modo in cui da quel momento potrò fare:

con te accanto.

Pensieri della sera che magari non parlano sempre di amore, Racconti & Poesie

Tra le strade del caos di vivere

Cammino, cammino.
Dove vado? Non lo so.
Ho una direzione che sfugge,
una rotta che si modifica ad ogni secondo
e pensieri contrastanti.
Corro corro, aspetta che mi fermo.
Vedo una luce e la seguo
e lei mi conduce verso il buio:
accidenti alla fiducia.
Dal buio alla penombra,
e il viaggio si fa più stancante.
Dalla valigia sembra essere andata via, quasi del tutto, la speranza
e intanto gli anni si sommano.
Mi sembra di girare intorno,
di perdere il ritmo,
di strisciare assetata di incognite.
Poi lo ritrovo, eccolo di nuovo un qualche ritmo nel mio modo di camminare,
anche se non ho idea di cosa io stia parlando.
Eppure sento che una regola in tutto questo viaggio ci sia.
Una cadenza che scandisce i momenti belli da quelli dolorosi,
una mano invisibile che mi conduce tra le vie affollate del caos.
E lo vedo davanti a me:
un groviglio di strade che danno su pontili e funivie.
La scelta, l’incognita, se prendere il ponte o seguire le rotaie.
Qualunque direzione scelga,
raggiungo lo stesso una collina
e intanto mi chiedo cosa sia la libertà.
La risalgo lentamente, nella valigia mi era rimasta ancora la volontà
e sotto i miei piedi la salita sembra trasformarsi in una montagna,
che poi diventa cascata
che poi diventa una grotta
e che mi ripara all’interno della bolla di un tramonto.
Al suo interno, inaspettatamente, trovo un’oasi verde e mi ci fermo per un pó:
un altro miraggio e allora riparto.
Ma questa volta non mi lascio scoraggiare,
avevo più bisogno di riposare che di non farlo.
Che sia la vita o un sogno, non so dire.
Io e la mia valigia tra le strade del caos di vivere.
E cammino, cammino.
Dove vado? Che ne so.
So solo che alla fine dei giorni sarò arrivata in un punto che adesso sconosco e a cui poco credo.
So soltanto che senza troppo pensarci, solo allora avrò capito di aver raggiunto la mia meta.

Pensiero e sentimento

Punti di vista

Ringrazio che tu non ti sia mai messo seriamente a scrivere un libro di poesie.
Un romanzo. Una storia: la nostra magari.
Hai reso più facile smontare il grande castello di carte dorate su cui si basava il tuo ricordo. Un pensiero continuo e costante, ma mediato dalla fantasia e che mi faceva sentire la tua mancanza anche quando non la sentivo davvero.
Tu, che non scrivevi poesie. Tu che non facevi ciò che dicevi.
Non è stato difficile avere momenti in cui potevo vederti per quel che realmente sei: e cioè quasi niente.
Il difficile è stato sempre costringere la mia mente a recuperare quei momenti di raziocinio per accantonare dalla mia testa una persona che in realtà non esiste.
Le tue lettere, le tue storie, le tue parole. Tutto finto, tutto inesistente.
E alla fine non eri tu a scrivere poesie, non eri tu a scrivere quel libro:
perché si sa… che quella che era capace di parlare d’Amore sono sempre stata soltanto io.

Poesia, Racconti & Poesie

Vent’anni

Ho amato
Perduto
Sofferto
Lottato contro la rabbia, le domande infinite, il ricordo e la nostalgia.
Poi successe che ho perdonato,
accantonato l’inutile,
ripreso a sorridere.
Ed allora ho scritto,
ho suonato,
camminato per città,
visto il mare.
Eppure pensavo di non poter mai dimenticare;
di non riuscire mai a vedere nessun altro.
Credevo di sapere tutto a vent’anni.
E poi un giorno mi svegliai;
la vita sembrava sempre la stessa.
Ma successe che, quel giorno, ti incontrai.
E no, non fu più la stessa.

Racconti, Racconti & Poesie

L.M.

Tic-toc-tic-toc. Quel ticchettio continuava pur non essendoci nessun orologio. Una casa troppo vecchia scricchiolava sotto i suoi passi. La candela illuminava al passaggio i volti indistinti di spiriti mai conosciuti del XVIII secolo e la cui presenza continuava ad aleggiare tra i mobili tetri, ricoperti da teli bianchi impolverati. I merletti e i drappi che avvolgevano i vecchi proprietari del luogo, cristallizzati nelle tele umide quasi decomposte dal tempo, sembravano spettrali, specie se appena toccati dal lume di notte.
Tic-toc-tic-toc come un ritornello nella testa. Un richiamo che spingeva le sue gambe fino all’ala più remota di quella stamberga inglese sfiorita, insieme alle sue mura cadute a pezzi. Tic-toc-tic-toc, lo stesso ritmo del sangue che sbatteva nelle pareti delle vene, del cuore che voleva uscire dal petto, dell’affanno dei polmoni troppi stretti dentro il corpo. Tutto era claustrofobico; si respiravano le spore e le polveri di un luogo sepolto e chiuso da secoli alla luce del sole. Davanti alla grande porta in legno con mostruosi bassorilievi sulla lotta di angeli e demoni, eccone la maniglia scheggiata: unico ostacolo tra lei e quel ticchettio sempiterno. Nel girarla una scheggia le taglió il dito, colorandosi con punte di rosso. La porta si spalancó con un cigolio che non sto nemmeno a descrivere. Portava in una stanza buia dall’odore di muffa misto a gelo e man mano si dirigeva verso il fondo, ecco come tante lamelle di luci danzarono fino a circondarla. Specchi. Era una stanza tutta circondata da specchi grandi quanto le pareti e che sembravano quasi voler indicare un punto al centro di quel luogo: un oggetto che ticchettava. Tic-tic-tic-toc e più si avvicinava, più i fantasmi della stessa candela riflessa la attorniavano come a volerla assalire alla gola. Tic-toc-tic-toc e più raggiungeva il centro e più le mancava il fiato. Ancora un passo ed ecco che mise a fuoco la sorgente del tic-toc al centro della stanza: una scatola di legno scuro e ammuffito che ticchettava. Su di essa potè scorgere intagliate due lettere: L.M. Poggiò la candela sul pavimento e così fecero tutti gli specchi attorno a lei. Il ticchettio le aveva rubato i pensieri, tanto che non riusciva più a definire l’oggetto: era attratta, ipnotizzata, avvinghiata a quel rumore dall’essenza di un fantasma. Allora con la mano sempre più vicina, lo toccó, toccó quel nero avvolto dal tic-toc-tic-toc che ormai si era impossessato dei suoi pensieri.
E il tic-toc si arrestò.
-silenzio-
Poi uno scoppio improvviso che incendiò la stanza.

-DRIIIIN.

Lunedì Mattina.

Racconti, Racconti & Poesie

Matriosca

Camminavo da sola, come sempre, tra le opere di un museo troppo grande.
Camminavo da sola, eppure in ottima compagnia, la mia. E la mia compagnia era fatta di tante altre compagnie che insieme componevano la mia persona: c’era la Curiosità, l’Indipendenza, il Coraggio; c’era la compagnia della Forza e anche di una leggera presenza, chiamata Insicurezza. Ad accompagnare i miei passi e gli occhi, dopo di loro, si sentiva anche un poco di quella compagnia tipica della signora Solitudine, che con un pizzico al braccio ha riportato la mia attenzione proprio su quel quadro.
Signora Solitudine, tra le mie compagnie, era in disparte e più distanziata: divisa in due, lei sorrideva e piangeva allo stesso tempo, nel vedere gli amanti ancora abbracciati.
Sorrideva insieme alla sua compagna Speranza, nel vederli così uniti, stretti, avvolti, avvinghiati in una massa unica, e piangeva insieme alla sua più fidata amica Malinconia, nel sentire il dolore di un amore folle, che fa bruciare le carni dall’interno e ti consuma l’anima.
Stavo davanti al quadro da sola, senza essere da sola. Stavo davanti al quadro e ragionavo sul quadro con me stessa e di me stessa.
Gli amanti stanno per staccarsi, stanno per allontanarsi, stanno per mancarsi, bruciarsi, appassirsi e lo presagivo da un abbraccio.
Eppure stavano lì, cristallizzati: i capelli di lei mescolati nelle carni di lui, ancora uniti, ancora inseparabili.
Mi fermai a riflettere sul loro futuro: lo vedevo pieno di treni e aerei che li avrebbero portati ai lati opposti dei loro mondi. Lo vedevo malinconico, dolente eppure intriso di una profonda conoscenza delle pene dell’animo umano.
Mi figuravo le due sagome, ben vestite e con qualche ruga in più, a camminare sicure di sé  per qualche strada di una qualche città dal nome sfocato, con ognuno la propria routine che suonava come un ritornello avvilente nella testa.
Li vedevo avanzare distratti e un poco spenti su due marciapiedi diversi e terribilmente lunghi, che, se fossero stati accostati, sembrava quasi portassero a un unico punto di arrivo;  allo stesso modo di due rette parallele che in quel famoso punto lontano all’infinito, trovavano la loro convergenza.
Quante corazze formavano quei vestiti; quanto erano spenti i loro sorrisi scambiati con i passanti. Se avessi potuto scrutare dentro le loro maglie, aldilà dei loro petti,  i loro cuori, li avrei, per caso, trovati di ghiaccio?
Il loro cammino seguiva all’unisono, come al ritmo di un unico passo. Finché il destino pose davanti a loro uno delle infinite scelte millesimali, tanto banali da poter cambiare l’intera esistenza: entrambi i marciapiedi stavano esaurendo i pochi metri ancora da calpestare; dunque la scelta ricadeva solo sull’attraversare la strada o continuare a seguire la scia dei san pietrini, girando l’angolo.
Eppure nella vita di tutti i giorni, quando andiamo a lavoro o torniamo a casa, giriamo moltissimi angoli, pur non sapendo chi e cosa ci sarà dietro. Se decidiamo di attraversare la strada, nulla compare all’improvviso; il mondo si mette sempre più a fuoco davanti a noi. Eppure se giriamo l’angolo è tutta un’incognita nelle mani del destino.
E allora l’uomo e la donna continuano a camminare nei due marciapiedi diversi di chissà quale città, fino al punto in cui bisogna scegliere se fare parte di un destino che ti lega instintivamente a qualcosa da quando sei nato oppure se fare parte di un destino che, apparentemente, ti sembra di aggirare e governare, scegliendo di cambiare strada.
L’uomo decise per primo e il suo atto di volontà lo portò ad attraversare la strada, arrivando a un angolo della città con un fioraio ricolmo di vasi con tanti steli lunghi e piccoli fiori gialli. La donna, invece, lasciatasi trascinare dal moto delle sue gambe, girò l’angolo senza attraversare la strada, e nel farlo venne colta da un improvviso e delizioso profumo di mimose.
Stavo davanti al quadro di un museo troppo grande, ma pieno di vicende da narrare ed ero in compagnia di Solitudine che smise di piangere, con Speranza e Malinconia che si tenevano per mano.
Ed eccomi tornata nel mio piccolo albergo viennese, seduta a scrivere le impressioni sulla poltroncina in velluto grigio accanto alla finestra che da sul parco innevato. Come fosse davvero andata tra gli amanti avvolti nel “L’abbraccio” di Schiele, non lo sapevo né mai lo saprò, ma di certo la mia amica Immaginazione, in mezzo a tante compagnie vaganti, mi fece sognare a lungo, raccontandomi proprio una bella storia.