Poesia, Racconti & Poesie

Pazzia

Bisogna essere folli per accettare la lontananza.
Per parlare, abbracciare, sussurrare parole da lontano.
E bisogna essere pazzi per decidere di mettere il primo piede su quella strada;
per fare il primo passo e poi altri cento.
Eppure, di qualsiasi passo si tratti:
se il primo che ti porta via da casa
o il primo che vi conduce lontano,
nella distanza,
ma insieme,
chissà, forse varrà la pena farlo.
Alla fine della camminata,
la stanchezza si dirama,
i giorni neri si cancellano
e una enorme soddisfazione di avercela fatta invade il petto e rifocilla il fiato.
Bisogna essere folli per accettare la lontananza;
pazzi per decidere di cominciare ugualmente a parlare al plurale:
sí,
ho detto pazzi;
meravigliosamente,
fortunatamente,
incredibilmente
e semplicemente
pazzi di amore.

Pensiero e sentimento, Racconti

Alla fine del viaggio

Alla fine del viaggio continuavo a chiedermi cosa mi avesse dato la forza di intraprenderlo.
Mi sono sempre vista come un’anonima ragazza della periferia del nord della Francia, senza il minimo briciolo di coraggio per affrontare il mondo da sola.
Alla fine del viaggio, quando la mia nuova e breve vita fatta di altre lingue, di altre culture e altri luoghi, si rimpiccioliva dietro alle mie spalle, e io vedevo sbiadire i loro colori e le forme come in un sogno giunto alla conclusione, ecco che ripensavo a tutte quelle montagne alte e ripide che sorprendentemente ho superato per arrivare a quel punto che coincideva con la fine. La partenza, il distacco, il lavoro duro, la solitudine, la lontananza, te e altre braccia, questi erano i nomi di quelle vette.
Cosa mi aveva dato la forza di mollare tutto, di ricominciare daccapo, di conoscere tutte quelle persone che si sono costruite una stanza in più nel mio cuore e cosa mi aveva permesso di stare lì, lontana da te che sei sempre stato qui, qui dove sto arrivando?
Alla fine del viaggio, mentre il treno stava finalmente giungendo in quella vecchia stazione in stile novecento, solitaria e polverosa e da cui sono partita in quella che sembrava un’altra vita, rimangono poche cose da dire:
che la forza, quando serve, si trova;
che tutti abbiamo dentro di noi un leone e un coniglio, bisogna solo decidere quale tirare fuori al momento giusto;
che la mano che stringevo ogni dannata notte per riuscire ad addormentarmi in quell’altro paese, continuava ad essere la tua nonostante fosse diversa, nonostante fosse di aria. E che non bisogna mai voltarsi indietro, almeno finché non hai superato il traguardo.
Alla fine del viaggio continuavo a chiedermi cosa mi avesse dato la forza di intraprenderlo e adesso la risposta, forse, la so: il sapere che anche se ci ha allontanati, il destino ha voluto fare incrociare ancora una volta i nostri cammini. E adesso ho la certezza che dopo il mio esilio, dopo il distacco, gli anni e la crescita, era giunto il tempo di comprare il biglietto di ritorno e, con esso, ho avuto finalmente il coraggio di concludere questo diario con le stesse parole con cui ho terminato la lettera che presto riceverai. E le parole sono queste: “Ora che il passato recente, durato galere, ci ha resi quelli che siamo, non serve più aspettare che un altro vento ci allontani ancora per continuare a forgiarci: perché siamo pronti. L’orologio ha terminato i suoi giri e molte stagioni si sono intercambiate fino a oggi. Ogni cosa che deve arrivare, alla fine, giunge inesorabile; come questa fine del viaggio che non coincide altro che con il momento in cui sono pronta a correre completamente, velocemente e definitivamente da te”.

Pensiero e sentimento, Racconti, Racconti & Poesie

Diario ’21

3 Marzo 1921

Oggi è l’ultimo giorno del mio incarico, in questo paese lontano anni luce da casa.
Sono passati secoli da quell’arrivo burrascoso: è passata tanta rabbia e tante lacrime da sotto i ponti di questo nuovo fiume. Di tanto in tanto si vedeva una ragazza incappucciata e coperta da capo a piedi che calpestava la neve, senza nemmeno vederla. In quei giorni c’era tanta malinconia e solitudine. Poi, però, è così che funziona e cioè che i giorni cambiano in mesi e in anni. La solitudine venne sostituita dalle conoscenze e le conoscenze dalle amicizie. Le strade di quella città si riempirono di facce incuriosite e anche di qualche sorriso qui e lì. A Natale spuntarono le prime decorazioni affisse da un capo all’altro delle stradine adesso colorate, e cominciarono a sentirsi le prime canzoni intonate dai bambini.
Fino ad arrivare a questo Marzo, fino arrivare a questo giorno, il 3, e fino ad arrivare al 1921.
Sono sul mio letto che nel tempo ha finalmente deciso di prendere la forma del mio corpo e aspetto che anche l’ultima candela rimasta si consumi. Scrivo per ricordare questo giorno come il mio ultimo giorno della mia nuova e, nello stesso tempo, vecchia vita.
E non è facile lasciarla, ora che ti ci sei affezionato. Una città è come una persona, anzi come tante persone insieme messe lì a formarla e fa male salutarsi fino a non si sa quando.
Ripenso a soli pochi istanti fa, prima di chiudere la porta per l’ultima volta a chiave , a quando ancora ero circondata dalle musiche e dai colori delle strade, in mezzo a tutti coloro che hanno reso un’anonima città, “La” città; sento ancora i sorrisi, i brindisi, i saluti, gli abbracci calorosi e le lacrime tenute strette in gola perché non si contagiassero e spegnessero la festa.

Nello stesso momento, dall’altro lato del mondo, in una città più piccola e vagamente familiare, un gruppo di persone festeggiava. Un esame, una vittoria, una nuova tappa della vita. Bicchieri, calici, coppe, tutti quanti brindavano dalla gioia, senza groppi in gola, senza abbracci forti, creati per rompere la distanza. Tu eri tra questi che ti godevi l’aria di festa. Neanche sai della mia esistenza ed io neanche so della tua, eppure sono certa che da qualche parte del mondo, in una città semi-sconosciuta, ci sarai stato tu a brindare per una qualche ragione completamente opposta alla mia.
I calici erano in alto nello stesso momento e nello stesso momento il mio sbatteva contro quello di qualcun altro e così il tuo. Che il mondo avesse unificato quei due luoghi così remoti, che il tempo avesse cancellato le distanze, che i nostri calici si fossero incontrati tra la folla, sorretti dalle nostre mani, che i nostri sorrisi fossero stati condivisi insieme ai dolori, che tu e io fossimo stati ricongiunti dallo stesso gesto, anche se avvenuto in luoghi e con persone diverse.

3 Marzo 1921 e io sto qui a congedarmi. Cambiare vita è un salto nel buio e non è nemmeno la prima volta che succede, ma non ci si abitua mai. Per saltare,  molto spesso, serve solo smettere di pensare alle conseguenze  e di quello che si perde una volta che si sceglie qualcosa. Un esempio è il conoscere tutte quelle meravigliose persone per salutarle chissà fino a quando, eppure senza salutarle mai. Il mio cuore si riempie di stanze in ogni luogo in cui vado.
E dunque da domani sarò in una nuova città.

E per quanto riguarda te, sì tu che brindavi con i tuoi amici dall’altro capo del mondo, semplicemente grazie per il conforto ricevuto da così lontano e non temere, perché sto arrivando.

Pensiero e sentimento

E arrivi tu

Un giorno
nel mezzo di tutti quegli aerei in ritardo e in anticipo,
tra tutti quei decolli e quegli atterraggi;
fatti di borsoni in spalla e una valigia da trascinare in solitaria…
Mescolato tra la folla ci sarai tu ad aspettarmi agli arrivi.

Agli arrivi.

Poesia, Racconti & Poesie

Come cambia il vento

Come cambia il vento,
così le persone.
Come un giorno è scirocco,
mentre l’altro è tramontana.
Ed in quel cambio repentino e notturno,
non sai mai se il giorno dopo ti aspetta il sole
o devi munirti di ombrello.
E così,
lo ripeto,
è anche la gente.
Ed anche per loro il giorno dopo funziona allo stesso modo;
che non sai se dire ciao,
rivolgendo un sorriso che illumina tutto
oppure arrivederci,
voltando le spalle tanto rapidamente per non farti bagnare dalla pioggia.

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Noi e il mare

Noi,
cresciuti con gli occhi davanti al mare,
non sappiamo cosa sia una città fredda;
perché se ci siamo, ce ne andiamo,
scappiamo.
Noi ricerchiamo il ruscello,
le gocce d’acqua che cadono
e poi si mescolano con la sabbia.
Noi ricerchiamo il riflesso del sole sul letto di onde
e la spuma del mare sul bagnasciuga.
Percepiamo il richiamo della marea,
di quella dolce sensazione che ci avvolge
quando sentiamo il bisogno di nasconderci al di sotto.
E tutto il silenzio,
un silenzio che segue quel nostro reiterato battesimo,
è parte di un non-luogo
conosciuto solamente da chi, come noi,
ha tatuato e impresso negli occhi
la potenza del mare.

Poesia, Racconti & Poesie

Per vincere

Se nella distanza crederai,
troveremo la forza per costruire ponti e strade
sulle sabbie mobili e in mezzo al mare.
Se nella distanza mi vorrai,
io sarò gli occhi e tu le mani
per ravvivare i nostri giorni di tutti i colori
che fino ad oggi sono rimasti sbiaditi.
E se la distanza percorrerai,
colmando strade e ricoprendo chilometri,
allora avremo ore e ore di coperte e di abbracci davanti ad un camino
in una stanza tutta per noi, ad aspettarci.
E se, infine, nel nostro amore crederai:
non serviranno molte parole per dirlo:
perché semplicemente,
avremo vinto.

Pensieri della sera che magari non parlano sempre di amore

La felicità dentro la credenza

È un poco come quando hai finito di pranzare, ma il tuo corpo, che ha le orecchie della necessità e non gli occhi della razionalità, non lo sa che tu hai finito di mangiare.
Quindi, praticamente, tu hai davvero finito di mangiare, ma la tua gola e la tua pancia stanno aspettando, non lo so, una seconda porzione di pasta, una crostata, la carne gratinata, le melanzane alla parmigiana della nonna -perché il tuo corpo che ne sa che la nonna non c’è più , ingenuamente e magicamente sempre potrà sperare di mangiarle-.
E il tuo corpo è come un bambino di tre anni a cui si dice “sì, domani te lo compro” e allora lui si quieta e aspetta l’indomani contando i minuti che in realtà non sa contare, ed ecco che il tuo corpo fa lo stesso. Ti suggerisce che ha fame, ma rimane lì, docile, confidando nel suo padrone.
Il suo padrone, e cioè la tua testa, lo sa che ha i minuti contati per tenere a bada il corpo. Lo fa alzare, lavare i piatti, asciugarli, prendere un libro, posarlo, uscire di casa, tornare indietro. Poi tenterà pure con la pennichella. Ma ecco che il corpo, in particolare quella sacca mezza vuota che chiamiamo stomaco, ci richiama, come un gatto che miagola per avere i suoi croccantini. E cosa si fa quando il gatto chiede da mangiare la prima volta? E cosa si fa quando la mattina, il giorno dopo, il bambino ti richiede per la prima volta quel giocattolo?
Ignoriamolo, proprio ignoriamolo, giriamoci dall’altro lato, ricerchiamo il sonno.
Bussano, alla bocca del tuo stomaco bussano delicatamente. E tu ti svegli.
Eh quindi no, la presa in giro sta finendo. Il corpo è recidivo, lento a capire, ma alla fine capisce sempre, ogni giorno, direi.
Allora tenti con le alternative: sono le 5, è ora di un tè.
Un tè? Dico, un tè? Ma che se ne fa la pancia di un tè quando vuole bomboloni al cioccolato e pandoro farciti e ricoperti di zucchero a velo, nei freddi pomeriggi di dicembre!
Va bene allora, un poco di frutta.
O, meglio, frutta e un succo.
O per variare, un succo e delle noci.
Si, forse le noci lo riescono a confondere, è già qualcosa di consi… di consistente, tipo, da masticare, forse.
“Ma io non voglio le noci!”, disse la gola.
“Ma io non voglio un quaderno da colorare, voglio il giocattolo!”, disse il bambino.
“Ma io non voglio che mi riempi la ciotola di acqua, avaro umano”, disse il gatto.
“Ma io non voglio un altro uomo…”, disse la testa.
Perché, vedete, anche la testa fa parte di questo gruppetto di elementi che al mondo hanno desideri che non possono sempre essere saziati.
E per quanto la si tenti, ogni volta, di sviarla dalla sua ossessione, accontentarsi non è mai una soluzione definitiva.
È vero, finalmente tu mangi quello che vuoi, eppure il cibo poi finisce; il giocattolo si conserva in uno scatolone da mettere in cantina e il gatto vorrà altri croccantini. Eppure non solo il tuo stomaco, ma anche le tue papille gustative, la tua gola, la tua pelle, la tua ossitocina, quindi il tuo umore hanno goduto tutti di quei biscotti che hai finalmente tirato fuori dalla credenza.
Il bambino avrà un ben ricordo che vorrà far rivivere magari al suo di bambino, un giorno.
Il tuo gatto, per cinque minuti, smetterà di pianificare la tua morte per ereditare tutta la tua casa.
E la tua testa, che avrà dato ascolto per una volta al sentimento, tornando indietro di qualche passo, potrà solo godere del momento di felicità che ne ha ricavato, anche se poi, probabilmente, sarà subito finito.
Perciò, una volta tanto, ragione non hai sempre ragione; perché sai, qualche volta la vita diventa più colorata se ascoltiamo quello che ci dice il sentimento.
Come per esempio diventa possibile arrivare alla felicità attraverso altre vie meno ragionevoli e razionali, anche se si tratta di felicità brevi. Proprio giusto il tempo di mandare giù un pacco intero di biscotti, quelli nascosti nella famosa credenza, tanto per riscaldarci nei freddi pomeriggi di dicembre.

Poesia, Racconti & Poesie

Il regalo

Prima di andarmene, ti ho salutato a mio modo:
ti ho fatto un regalo e l’ho lasciato sulla riva del mare.
Erano parole, linee e frasi di una lettera appena scritta;
erano pensieri, preghiere e sospiri di un cuore ferito.
Prima di andarmene ti ho composto una canzone:
diceva tanto sull’amore e sui tuoi occhi scuri.
Adesso tutto quell’inchiostro è lontano dagli scogli;
adesso la mia promessa sembra farsi bugia.
Così dopo essermene andata,
ti ho lasciato senza niente, penserai:
la carta bagnata ha reso invisibili le parole
che mai giungeranno alla tua vista.
Eppure chiudi gli occhi e
e ascolta, mentre guardi il mare;
perché il mio regalo è qualcosa di speciale
che non serve toccare.
Puoi già sentirlo sorgere dentro di te
e colorarti i pensieri.
Lo senti questo battito in più?
E tutto il sangue che ti scorre nelle vene
con la forza di due persone.
Potrai tenerlo con te,
dormirci la notte
e nasconderlo sotto la camicia,
nella parte sinistra del tuo petto.
É tuo,
soltanto tuo
e di nessun altro.

Prima di andarmene ti ho salutato a mio modo
e ti ho regalato il mio cuore.
Mentre sto qui, in lontananza
che sopravvivo, senza.
E adesso non rimane altro da chiedere se ti è piaciuto:
ti è piaciuto ricevere il mio cuore?
E adesso non rimane altro da chiedere se ti è bastato:
ti è bastato ricevere il mio amore?

Poesia, Racconti & Poesie

Finta poesia

Abbiamo tanto da dirci
-da non dirci-
da scrivere milioni di poesie e racconti.
Dove per te, un giorno,
sono un fiore
e tu un drago.
Poi, un altro, diventi un pirata,
ed io l’onda che sconquassa il mare.
Un giorno siamo amici,
un giorno ci uccidiamo.
Un giorno siamo amanti
mentre l’altro scappiamo.
E oggi chi sarai per me, mio poeta?
Tu sarai un gabbiano dalle ali grandi:
così maestoso, ma non lo sai.
Ti senti goffo mentre nutri amore per lei;
quella piccola anatra che sta sul bordo dello stagno.
Guarda i cigni e piange per il suo aspetto.
Guarda il cielo che non potrà mai toccare
e ti cerca con i suoi pensieri silenziosi al mondo.
Ogni giorno alla stessa ora,
lei ti cerca e vi trovate.
Voi non lo sapete, dolci piume,
che vi amate entrambi.
Troppo lontani per saperlo,
a distanza di sguardi da cui è impossibile parlare.
Un’anatra e un gabbiano,
così diversi, ma così simili.
Che non sanno fare altra cosa che amare.
E oggi chi sarò per te, mio poeta?
E domani chi sarai nel mio prossimo racconto?
Ogni forma può mutare giorno dopo giorno,
mentre il nostro nome non varia.
A legarci c’è la distanza
e ogni parola scritta,
come quella che leggerai anche oggi,
in questa mia ennesima finta poesia.